Discards, Jshaan Ghose, India, 2021, Torino FF.

Un pugno allo stomaco. Si lavora allo smaltimento poi si scala quel putridume alla ricerca di oggetti da riciclare, anche cibo da consumare, barbecue con le carogne di cavallo o cacciando i cinghiali che si aggirano a frotte. Macchina a mano osserva sguardi fissi in basso, alla ricerca di sostentamento e in alto a contemplare aeroplani, corvi e gabbiani. La libertà, a cui però con un gesto reiterato, mirano. Mimando con le mani o con oggetti di fortuna, si spara sempre in alto, verso chi può tagliare la corda nel livido cielo di Calcutta. Eppure i riti di adolescenza sono sempre gli stessi, ci si diverte a bullizzare, si improvvisano rap e street music. Prove di normalità. E talvolta si scende la montagna e si scorazza in città, con skateboard di fortuna. Corrono voci che la discarica sarà bonificata e riqualificata in parco. E li la tragedia si fa più fosca. Sì, perché in questo caso il progresso ha un taglio peggiorativo, per chi era radicato in quei luoghi infernali  ha reciso l'unica economia di sopravvivenza possibile, legami territoriali e di vicinanza, memoria di eventi significativi "qui sono nato e qui è morta mia madre". E Bokul impazzisce e si aggira su quella landa che, se pur bonificata e con l'erba ricresciuta, è  per lui ancora più desolata perché desimbolizzata e dunque insensata. E quando l'amico Ganesh dopo una disperata ricerca lo ritrova a vagare completamente fuori di senno, ci rafforziamo nella certezza che c'é sempre un nucleo irriducibile che resiste allo sterminio del degrado. In questo caso l'amicizia e la pietas.

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