The postman's white nights, A. Konchaloskij, 2014, F.V, in concorso.

Chiudiamo la parentesi del giovane cinema europeo dopo aver rischiato danni da asfissia e prendiamoci una boccata di ossigeno. Film scarno ed essenziale, neorealismo sovietico. Un villaggio sperduto del nord, attori i suoi abitanti, tranne il protagonista e alcune comparse che troviamo in città, la direttrice delle poste, il generale, il colonnello. L'inizio con le foto di famigliari e amici introduce perfettamente il tema, la nostalgia per un passato che avrebbe potuto essere l'incipit per una vita diversa e la solitudine di tutti, dispersi in uno spazio sterminato, inidoneo a contenere l'angoscia esistenziale. E la depressione è un gatto grigio che ci guarda dalla finestra, che ci pesa sullo stomaco e ci accompagna nella scuola dell'infanzia ora devastata. In quella landa desolata dove tutti son dediti alla vodka, l'unico compagno astemio non può essere che un bambino, figlio di una ex compagna di scuola. E le giornate, a iniziare le quali lui esita sempre davanti a quelle scure ciabatte plastificate disposte al lato del letto, si dipanano tutte uguali e inquadrano la sua nuca slava, con giubba e berretto mimetici, un combattente che da due anni resiste alle lusinghe della vodka e attraversa il lago da una sponda all'altra con un motoscafo carretta per consegnare la posta. Concisi, ma forse per questo ancora più poetici i dialoghi con chi incontra durante il lavoro, si parla del "romanticismo socialista" o del "dolore dell'anima" che si placa solo con l'alcool, e dà brevi tregue solo quando si lavora.   La quotidiana routine precipita col furto del motore della barca e con la partenza dell'amica che respinge un suo approccio e del bambino. Andrà dalla sorella in città. Impeccabile la macchina da presa, che segue i personaggi e le loro emozioni con la stessa attenzione entomologica con cui inquadra mosconi e formiche, facendo emergere però quanto la condizione umana sia universalmente esposta alla precarietà e alla insoddisfazione. Malinconia slava, forse ancora più primitiva, radicata e radicale .della saudade portoghese di cui si parla spesso. Se ne parla poco, quasi fosse indicibile, ma sta tra le pieghe di tutta la letteratura, la musica e il cinema. A proposito, accanto ad alcune canzoni popolari, Lenin is in our hearts, scelte musicali azzeccate, tanto Ostrovsky  e il Requiem di Verdi che ben scandiscono il ritmo mortifero e devitalizato di quelle esistenze.

A differenza di Pasolini, noi ci siamo lasciati commuovere da quelle vecchie foto sparse su una tovaglia cerata a disegni tropicali dell'incipit. Un valore aggiunto.

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